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I Vampiri – Socialità

Posted in Creature della Notte, Opera, Vampiri with tags , , on January 9, 2014 by docleucos

Uno dei fattori più interessanti da analizzare riguardo la figura del vampiro, inclusa la sua accezione più strettamente mitologica, è senza dubbio alcuno quello riguardante l’interazione sociale; a prescindere che sia condotta fra gli stessi vampiri o fra loro e gli esseri umani (prevalentemente). 

Premetto che in nessuno dei miei studi ho approfondito branche etnologiche o antropologiche (continuo ad essere un medico) e che di conseguenza le mie analisi riguardo i sistemi sociali risulteranno sicuramente ingenue ad un esperto del settore. 

 Dal punto di vista comportamentale i vampiri non sono sempre necessariamente animali notturni (questo dipende dalle varie razze e dalle problematiche che la luce infligge loro o meno: alcuni possono trovare nella luce solare un ostacolo insormontabile, altri un mero fastidio) ma sicuramente il loro periodo di massima attività si protrae nelle ore successive al tramonto. E’ anche il periodo in cui i vampiri, solitamente, tendono ad andare a caccia. In questa situazione i vampiri mostrano raramente un comportamento sociale del tutto stanziale, adottando piuttosto un parziale nomadismo: è difficile che un vampiro concentri tutte le sue energie in un unico rifugio, prediligendo averne uno svariato numero disposti in maniera ordinata sul territorio che intende controllare. Anche la formazione di clan (gruppi, congreghe, chiefdom, scegliete la definizione che preferite) e l’associazione in numero maggiore di due esemplari a volta può scatenare più dissapori interni che vantaggi. Sono esseri estremamente litigiosi.

Malgrado ciò, il vampiro tende a comportarsi come un predatore (quasi superpredatore, considerando che la sua preda prediletta sono gli esseri umani classificabili a loro volta come superpredatori sociologici per quanto biologicamente non rientrino nella categoria) se si ritrova a far parte di un gruppo per quanto ristretto nel quale può trovare la forza del numero anche verso le sue prede, mentre la difficoltà della vita nomade e solitaria lo conduce ad un comportamento più strettamente parassitoide. In sostanza, se in gruppo il vampiro ha la tranquillità di poter uccidere le sue prede una volta catturate, per il semplice motivo che sarà il gruppo a badare al suo sostentamento il giorno che non dovesse catturare una preda, da solo le sue energie sono concentrate nel mantenere la vittima in vita il più a lungo possibile per continuare a nutrirsene. Che anche il secondo comportamento porti alla morte della vittima (solo con una dilazione temporale notevole) è un dettaglio quasi trascurabile. 

 D’altro canto è più che prevedibile lo scioglimento prematuro di gruppi di vampiri: la socialità di esseri che sono in vita spesso da qualche centinaio d’anni tende a dimostrarsi distorta e in alcuni punti persino infantile, tanto che non è difficile vedere branchi interi scannarsi per motivi di futile gelosia, quando non si tratta della mera lotta per il potere. Aggiungendo a questo il comportamento paranoide della maggior parte dei vampiri si comprende molto bene perché preferisce muoversi da solo (o comunque all’insaputa del clan di appartenenza molto spesso). 

In sostanza quel che si viene a realizzare non è un insieme d’individui che cooperano per la propria sopravvivenza ma una massa di singoli che restano all’interno del gruppo solo per il tempo strettamente necessario malgrado la frequente presenza di legami di sangue più o meno profondi. I vampiri sopportano molto poco la compagnia dei loro simili anche quando non possono farne a meno. E il fatto che non abbiano reputato necessaria, durante i secoli, la costruzione di uno stato sociale articolato è senza dubbio alcuno una grandissima fortuna per l’umanità intera. 

 

Nei confronti degli esseri umani si mostrano con tutte le sfaccettature possibili ed immaginabili. La maggior parte preferisce comunque limitare le interazioni al minimo, laddove altri trovano diletto nel giocare come gatti con i topi per il mero gusto di farlo (e senza che questo costituisca il più delle volte una vera e propria sfida, che non accetterebbero di perdere). Alcuni si riavvicinano all’umanità per nostalgia, altri per gelosia, e per quanto ogni tanto l’intento non sia quello di produrre danno è estremamente difficile che un essere umano esca indenne da un contatto prolungato con un vampiro: se può risultare illeso fisicamente è molto probabile che non lo sia psicologicamente a seconda della profondità del rapporto instauratosi.

Più che predatori di sangue i vampiri, anche quelli di ceppo caucasico ben distanti dai miti dell’antica Grecia, risultano essere predatori di vita. E a questo si potrebbe rispondere dicendo che è normale, poiché sono morti. Personalmente ho delle difficoltà a classificare come “morte” delle creature che hanno ancora attività cerebrale.  E anche la definizione di “non-morti” mi sembra una fesseria degna di Lapalisse. Sono vivi. E’ semplice. 

 

E questo rende la mia classificazione personale sempre più difficile con mia somma gioia, ma tant’è.