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Qirim

Posted in Opera with tags , , , , , on May 2, 2014 by docleucos

 

 

Mattia Ottolini, Qirim – Illustrazione per “Lo Stagno di Fuoco”

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Chiacchierammo, alla fine. Fu bello.

Ci insegnò un giochetto, uno di quelli che fanno i dannati. Si chiamava Qirim ed era un botta e risposta serrato e persino arguto. Era piacevole da fare, così, camminando. Uno stava sotto e gli altri, a turno, chiedevano: niente di più semplice, per distrarti.  Pensai subito alle anime che si aggrappavano a canzoni e cantilene e a quel gioco ossessivo, ripetuto. Qualsiasi cosa, pensai, pur di non cedere al dolore. Chiedere e rispondere, chiedere ancora. Mettersi in gioco, per non perdere la ragione.

 

“Qirim, ricordi? Quel passatempo infernale. Una variante complessa di un’annosa, sadica questione… vuoi più bene alla mamma o al papà?”
“Non capisco.”
“Domande e risposte. Scelte rapide. Solo verità. Nessuna bugia.”
“E’ una specie di sfida” spiega l’oste, più calmo “inventata dai dannati.” Al che il vecchio afferra le ruote della sua sedia da invalido.
“Non sai quel che dici, quindi: taci!” 
Si spinge intorno al tavolo, irritato, come se non avesse voglia di rivelare segreti ma vi fosse costretto per la colpevole, palese inettitudine del suo socio: “Fu opera dei demoni, innanzitutto.” 
Si ferma alle spalle di Kelly.
“Qirim era il nome alchemico di una pietra rara che credevano magica: il vetro libico. Una gemma lattea, traslucida, che prima dell’uso veniva scaldata sino a raggiungere i trentasette gradi, la temperatura del corpo. Quando era pronta veniva posta sul letto di un dormiente e quello iniziava a parlare, nel sonno. A qualsiasi domanda avrebbe risposto con la verità. 
Fandonie, naturalmente, ma questa è l’ambizione della pietra, come del gioco. Nacque per scoprire ciò che è nascosto. I demoni lo pensarono per questo, ma quando si diffuse fra i dannati divenne poco più che un botta e risposta leggero, per uccidere il vuoto e sopravvivere al supplizio. Mettersi ancora alla prova…”

 

Vuoi più bene alla mamma o al papà?

E’ il modo più facile per spiegare il Qirim. In qualsiasi epoca, in qualsiasi luogo c’è sempre un parente imbecille che ti prende da parte, quando sei ‘alto così’ , per farti questa domanda o una sua occasionale variante. Nel Qirim, per rispondere, hai a disposizione tre leve immaginarie. Se abbassi la prima, uccidi tua madre, con la seconda, tuo padre e con la terza, se proprio non te la senti di scegliere, te stesso.
Questa è la base, solo che, naturalmente, in ballo, non ci sono i tuoi genitori. Non solo: c’è qualsiasi cosa passa per la mente di chi t’interroga, e se è abbastanza furbo o ti conosce bene, può forzare i tuoi valori, i tuoi gusti o i tuoi sogni. Metterti a nudo. 

 

Nel Qirim i tuoi valori vengono forzati e sei costretto a scavare, a riviverli e spesso a ridefinirli, mondato dalla vita e dalla contingenza. Non ti è rimasto più nulla e quindi, paradossalmente, puoi scommettere tutto. E’ tutto importante -sacro- a suo modo. C’è sempre chi bara, come al vecchio gioco della bottiglia, solo che non ha più senso farlo. Se il disagio diventa insopportabile, potrai sempre tirare la terza leva, scegliere la morte. Non è facile, ma dopo toccherà a te, chiedere.

Potrai rifarti.

 

Per cosa rinunceresti a quello che hai? Cosa faresti per raggiungere la tua meta? Per cosa uccideresti? per cosa moriresti? Il realismo è ininfluente.
E’ un gioco violento, intimo. Non importa chi tu sia, c’è sempre una zona debole o un nodo da sciogliere. Più d’uno. 

Abbassi una leva e qualcosa scompare, o qualcuno. Senza soffrire. Tu sei l’unico responsabile di ogni perdita e l’unico a patirne: questo è il Qirim. Una prova e una sfida, un disagio morale, ma non per questo gestibile. C’è chi arriva alle ultime scelte cieco, muto, omicida o camminando su due dita. Spesso, alla fine, scegliere diventa così impegnativo che gettare la spugna sembrerà un sollievo, sennonché, uccidersi -se si gioca onestamente- è difficile.
Insostenibile, per molti.
Ma non triste.

La verità, sul Qirim -quello dei dannati- è che è più intenso che sadico, e che è un gioco. Arrivi in ginocchio o morto e sei già pronto per una nuova partita. E’ pericoloso come uno spogliarello, altrettanto emozionante. Da una parte devi credere a tutti, fingere intimamente che quello che dici sia vero: questo è terrible. Dall’altra quel che conta è esporsi, pezzo dopo pezzo, e farlo toglie il fiato. Chi chiede ti impaurisce ma la cosa più agghiacciante sei tu, cosa sceglierai alla prossima domanda.

Scoprirti, oltre a essere scoperto.

 

 

Daniele Nadir, Lo Stagno di Fuoco